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Lento come morire

"Tutti muoiono un po' ogni giorno, ma io muoio più velocemente"

Si ritrova a pensare, mentre se ne sta con gli occhi pallidi incollati sul soffitto dell'area relax dell'Hub. Le parole di Redback continuano a rimbombarle nel cranio per più tempo di quel che vorrebbe ammettere.

"Sei soddisfatta, di tutto questo?"

E se la frase di per sé ha poco significato, l'occhiata di quel ragazzino ce l'ha. La guarda come l'hanno guardata tanti altri, con fastidio, pena o timore, come si guardano i corpi malati, gli appestati. Come qualcosa di rotto, che ci si vuole togliere da sotto gli occhi.

Non ha bisogno di mentire, nel dire che "quale che sia il prezzo, ne vale la pena": non è una bugia. Ma nonostante la semplicità di questa verità, il suo peso è un macigno che le toglie il sonno.
Perché il prezzo da pagare non è un semplice obolo, no.

E' come una malattia, una cancrena che si mangia la carne e l'anima, rigettandola stordita in un mondo che fatica a riconoscere come suo. Lenta ma inesorabile, un pezzettino alla volta, lasciandola nella lucida coscienza di quel che sta accadendo, di ciò che sta diventando. E per ogni pezzo perso, per ogni brandello di carne annerito dalla mutazione, aumenta la sua fame.

"E' lento come morire" pensa.

Morire un pezzetto alla volta, lasciando dentro un vuoto, uno spazio, un prurito, un nuovo bisogno, che scavano in un corpo che è ancora umano, capace di provare emozioni e sentimenti, di realizzare con orrore l'origine della fame insaziabile dei Ghede.

Come una bulimica, va alla ricerca costante di un nutrimento fuori misura, di tutto ciò che Samedi la costringe a rigurgitare poco dopo: adrenalina, sesso, emozioni, persone, anime. 

Vita. 


Lo schermo del suo cellulare si illumina, interrompendo quel flusso di coscienza: il nome del mittente le strappa un sorriso.
Per ora, è ancora viva.

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