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Visualizzazione dei post da settembre, 2019

Unsend letter

Caro Mark, Non so nemmeno perché mi ritrovo a scrivere, sapendo di non poterti inviare un cazzo.  Puro esercizio di stile o l'illusione di poterti parlare ancora attraverso la carta, probabilmente. Che dire, sono una ricercata adesso...ma tu lo saprai già, alla fine. Non c'è bisogno che aggiunga nulla, è una vita che conosci meglio di me. Ricordi, quella volta che ne abbiamo parlato? Delle scelte di vita, delle questioni di principio, dei "se" e dei "ma" . Mi piace pensare che, in fondo, avessi capito dove volevo andare a parare con quel discorso, perché tutto è iniziato da poche domande, dubbi sporadici che hanno portato ad altre domande e, infine, alle risposte. Alle azioni, alle decisioni.  Gli esiti sono sotto gli occhi di tutti.  Ma mi piacerebbe che sapessi, almeno tu, che ci credo davvero. Che, Santo Barone, potrebbe prendermi un attacco di panico pure per scegliere con cosa fare colazione la mattina, tanto sono indecisa nella vi

Crossroads

Lascia ciondolare le gambe nel vuoto, così seduta pigramente sulla ringhiera di una scala antincendio, con un sigaro per le mani e la schiena curva. E' notte fonda, i vicoli sono silenziosi, scuri.  Di tutto il silenzio ed il buio che la circonda, lei scruta un pertugio in particolare, una semplice porta finestra chiusa su di una stanza buia. A dire il vero, tutto quell'appartamento ha l'aria di un luogo vuoto, sfitto.  Lei se ne sta lì, a scrutarlo nonostante tutto a distanza, con quell'aria assorta e distante, in un certo senso incredula, inseguendo fantasmi di figure assenti con le labbra strette fra loro, con un groppo alla gola.  Perché stavolta non ha più una scappatoia, un via di fuga, una qualsiasi forma di controllo: Erik se n'è andato, in qualche luogo dove lei non potrà più raggiungerlo, spiarlo o semplicemente controllare che stia bene da cauta distanza. L'unica cosa rimasta ad attenderla, in quelle quattro mura, sono i ricordi.  R

Holding hands

Fuori tecnicamente è giorno, ma c'è il silenzio tipico della notte in quel piccolo tugurio dell'Hub che chiama stanza, fatto di respiri leggeri e rumori ovattati dall'esterno. Il letto su cui è riversa è piccolo: insieme a Geese ci sta stretta e questo la costringe a stare sul fianco, col capo nell'incavo della sua spalla, la guancia poggiata contro il suo petto e la sinistra mollemente intrecciata alla mano dell'uomo. Ancora una volta priva di sonno, in uno strano stato di torpore che è un misto di emozioni, stanchezza ed alcol, i suoi occhi pallidi si fissano sull'intreccio delle loro dita. Osserva il modo naturale e lieve in cui le loro mani combaciano, trovando pace nella loro febbrile ricerca solo quando congiunte.  Ora, prima, l'altro giorno, in ronda, con le ossa rotte. Sempre. "Sarà che le mani sono il fulcro del nostro potere" l'ha pensato spesso e lo pensa anche ora, anche se ogni volta non ha risposta a questa domanda.